Ritratto #3 Nathalie / Poesie di strada a Parigi

Ho conosciuto Nathalie a una meravigliosa cena cambogiana a casa di Fabrice e Francesca. Aveva un maglioncino rosso, era marzo, e vibrava di vita, aveva un fuoco che la teneva sempre in movimento. Fili d’argento nei suoi capelli neri di Spagna e di Hong Kong- i paesi d’origine dei suoi genitori. Delle gocce d’acqua negli occhi di Polinesia. E questo fuoco incandescente, che dagli occhi passava alle braccia e alle mani… Nathalie è una giovane scrittrice e poetessa, e ha appena pubblicato un racconto di viaggio su Pechino, “Impressions de Pékin“, dedicato ai suoi amici.

Poi non l’ho rivista per mesi, è spesso in viaggio e non ci siamo più incrociate. Finché una sera, davanti al centro commerciale Italie 2, la rincontro, portava un caschetto e un vestito, e abbiamo parlato delle popolazioni primitive, di Parigi, della sua estate, della ricerca di lavoro, e delle sue mostre, allestite a settembre alla Bibliothèque Fessart (L’urgence du détail), nella boutique Des Etendues, in rue de la Villette, e nell’atelier Les Xérographes. Vi ha esposto le sue poesie di strada di Parigi. Nathalie e la sua sensibilità di fuoco e di acqua, tra foglie cadute che osserva gli uomini, i barboni, le donne anziane ai margini, e ne fa delle poesie bellissime…

Mi ha detto che il suo rapporto con Parigi è controverso. Allora io vorrei chiederle, cosa non hai ancora fatto a Parigi che vorresti fare ? Quali sono i tuoi riti di salvezza in questa città ? Parigi riesce a rapirti qualche volta, e quando ? Credi sia una città spirituale ? Marguerite Duras ha vissuto per un certo periodo a Parigi. Ami questa scrittrice ?

Ecco la sua affascinante risposta :

Cara Claudia,

Grazie per questo piccolo ritratto lusinghiero !

Quello che non ho fatto a Parigi che mi piacerebbe fare?

Non lo so, forse quello che cerco è prima di tutto uno stato- e non so se Parigi può offrirlo, quello di non subire gli imprevisti di una vita estremamente precaria in una capitale tuttavia così ricca. Fortunatamente, a Parigi non mancano persone interessanti, curiose, a volte ben intenzionate, sensibili e solidali, ma, come ogni grande città del mondo di oggi, tende a separare socialmente i suoi abitanti. Non sfugge, penso, a un fenomeno globale di isolamento degli emarginati (tra cui gli artisti ) e dei precari, anzi, forse lo favorisce, suo malgrado.

I miei riti di salvezza in questa città?

Sono il saluto delle persone che vedo ogni giorno: il fruttivendolo, la fornaia, alcuni cassieri del supermercato Franprix, alcune conoscenze qua e là incontrate per caso nel mio quartiere. Prendersi cura delle mie piante che hanno costruito da sé un ecosistema nelle mie fioriere. Ogni giorno, due api vengono ad estrarre le sostanze nutritive per i loro alveari. Ne sono orgogliosa ! Mi dirai che alla fine, non sono rituali. E’ vero.

Petite abeille au travail / Piccola ape al lavoro Photo de Nathalie Man

Qualche mese fa, le mie giornate erano simili a queste, mi svegliavo allo stesso orario (9:00), facevo la stessa colazione, andavo a correre, poi lavoravo. Ma da qualche tempo, faccio come mi capita. Mi annoia la stessa colazione di prima, mi annoia anche alzarmi. Sai, mi piacerebbe alzarmi all’alba e attraversare Parigi per apprezzare ancora di vivere qui. La Parigi-Senna-Quartiere Latino-Louvre ecc è lontana dalla mia immaginazione attuale.

Parigi, per me non è così, non è più così. Quando sono venuta per la prima volta in questa città, avevo appena 19 anni, avevo gli occhi che brillavano all’idea di trovarmi in una città leggendaria, madre-nutrice di tanti artisti che ammiravo. Ma, dal mio arrivo, ho sentito una violenza simbolica: Parigi è una città costosa. Vivevo nel quinto arrondissement, al sesto piano, in un’antico granaio riconvertito in soffitta di 9m2. Non c’è bisogno di dire che lo pagavo una fortuna. Quando aprivo il mio divano-letto di notte, i miei piedi toccavano le pareti, mentre la mia testa sfiorava le tende dell’unica finestra della camera. La vicina della casa di sotto, per la quale avevo tenuto due bambini adorabili per la modica cifra di 6€ all’ora e in nero, veniva a dirmi di fare meno rumore poiché il “click” del divano-letto la svegliava. Come potevo fare visto che se aprivo il divano non riuscivo più a muovermi nell’appartamento?

Nelle strade del quinto arr., la gente cammina veloce e ad intervalli irraggiungibili l’uno con l’altro. E’ un quartiere borghese, e forse non vi ho trovato la spontaneità di vivere di cui avevo bisogno. Una mia vecchia amica abitava lì vicino, nei pressi della rue d’Ulm, ma non aveva mai tempo di uscire, poiché era in preparazione per l’università Henri IV e bisognava tenere il passo. E poi, perché vagabondare per Parigi, quando c’era un concorso da passare ? Io, a Lettere Moderne all’epoca, passeggiavo comunque. Ripassavo i concorsi per Sciences Po e gli IEP di provincia alla Bibliothèque Sainte-Geneviève seduta accanto a studenti in preparazione, oggi ingegneri, usciti da ambienti popolari come me, semplici e solidali. Ma come ho già detto, mi prendevo il tempo lo stesso per scoprire Parigi. Ascoltavo France Inter ogni mattina, ed ero presente a tutti gli eventi culturali che mi interessavano. Volevo vedere tutto, scoprire tutto. Ho partecipato a concorsi di racconti, ho ricevuto il primo premio, ho partecipato a festival come membro di giuria. Era interessante. Ma stavo cercando, e cerco sempre, una convivialità in questa città. Il tempo è una macina qui. E se non faccio attenzione, mi ritrovo il corpo e la mente massacrati.

Un motif apparaît au petit matin / un motivo appare il mattino presto. Photo de Nathalie Man

Sogno di una Parigi più verde. Desidererei in un eccesso ideale, che non ci fossero più automobili. Il rombo costante del traffico mi rende nervosa. A volte mi chiedo se non mi fa impazzire. Chi può vivere costantemente nel frastuono delle sirene, dei motori delle moto …? Coloro che, per un motivo o un altro, non hanno scelta.

A Parigi, a volte non mi sento libera.

Ora, so che permette l’anonimato, permette il disorientamento (da un quartiere all’altro, vi sono realtà sociali che appaiono o scompaiono), ma permette di sentirsi più liberi ?

Forse sì, nel senso che può permettere ai suoi abitanti di realizzare i loro sogni.

Un amico poeta, Reza Espili, mi diceva spesso, « Parigi è il mondo ». Non ha torto. E si possono realizzare i propri sogni solo se si è inscritti in un mondo, un mondo reale.

Ma ogni giorno e ogni secondo, devo combattere una « formattazione della difensiva », questa diffidenza dominante, dove l’altro è destinato ad essere un aggressore. Ma in questo gioco della difensiva, tutti diventano aggressivi. E questo mi toglie il fiato, mi esaspera e finisce qualche volta per deprimermi.

L’unica cosa che Parigi ha per conquistarmi è che sia “mondo”, come dice il mio amico, e che mi porti a essere vicina a tutti i tipi di personalità, culture e slanci differenti.

Ci sono tanti respiri diversi a Parigi, e se si presta ascolto, si può sentirne qualcuno più o meno distintamente. Se dovessi legarmi a un immaginario che mi faccia scintillare gli occhi parlando di Parigi, sarebbe quello della Comune.

puis il vient occuper toute la façace d’en face / poi occupa tutta la facciata di fronte Photo de Nathalie Man

Parigi spirituale ?

Se consideri spirituale nel senso dell’etimologia del 1509 « relativo al pensiero e all’intelletto », in questo caso, sì. Parigi permette di entrare in dialogo con pensatori del nostro tempo, e questo è importante. Consente una stimolazione ad alti livelli.

Ma se pensi alla spiritualità religiosa, credo che di non vedere Parigi in questi termini. E se dovessi vederla in questi termini, essa certamente non mi soddisferebbe.

Penso che Parigi non è sacra, né sacralizzabile, è dura viverla quotidianamente, e in questo momento lei è malata, come lo è il mondo attuale.

Marguerite Duras ha vissuto a Parigi. Può essere ! Sì, io amo Marguerite Duras. Adoro le sue opere teatrali. Ho adattato « Le Square » per un cortometraggio in collaborazione con gli attori del Conservatorio di Bordeaux. Volevo anche fare la regia, ma dovevo partire per Pechino due mesi dopo, e volevo almeno recitare. Ma il bello è che mi son fatta molti amici con quell’opera !

Ecco la mia parte preferita :

” – Non so cosa sia successo. Appena sono entrato in questo giardino, sono diventato un uomo pieno di vita.

– Signore, non so come un giardino, a vederlo, possa rendere un uomo felice.

– Eppure è un’avventura molto comune quella che vi racconto, signorina, e ne sentirete tante altre come questa nella vostra vita. Sapete, ho una vita fatta in tal modo che parlare, per esempio, per me, è una sorta di affare. Beh, mi sono sentito improvvisamente così a mio agio in questo giardino che ho creduto che fosse fatto per me, tanto quanto che per gli altri. Come se, non saprei dirlo meglio, fossi diventato grande di colpo, fossi diventato all’altezza degli eventi della mia vita. La brezza si è sollevata, la luce è diventata giallo miele, e i leoni stessi, il cui pelo fiammeggiava, sbadigliavano dal piacere di trovarsi lì. L’aria odorava insieme di fuoco e leoni, e la respiravo come l’odore stesso di una fraternità, che, infine, mi riguardava. Tutti i passanti erano prudenti l’uno con l’altro, e si rilassavano in questa luce di miele. Ero improvvisamente felice.

– Ma felice come, come qualcuno che si riposa ? Come qualcuno che trova il fresco dopo aver avuto tanto caldo ? Felice come lo sono tutti i giorni, gli altri ?

– Più di questo, credo, perché non ne avevo l’abitudine. Una forza considerevole mi è salita alla testa, e non sapevo cosa farne.

– Una forza che fa male?

– Forse sì, che fa male anche perché nulla sembra in grado di saziarla.

– Questa è la speranza, credo, signore.

– Sì, questa è la speranza, lo so. Questa è ancora speranza. E di cosa? Di niente. La speranza della speranza.“

Ecco a te,

Nathalie MAN.

 

 

 

Nathalie / Poèmes de rue dans Paris

J’ai rencontré Nathalie à un merveilleux dîner cambodgien chez Fabrice et Francesca. Elle portait un pull-over rouge, c’était Mars, et elle vibrait de vie, elle avait un feu qui la tenait en mouvement perpétuel. Fils d’argent dans ses cheveux noirs d’Espagne et d’Hong Kong- les pays d’origine de ses parents. Gouttelettes d’eau, ses yeux de Polynésie. Et ce feu incandescent, qui passait des yeux aux bras et aux mains … Nathalie est une jeune écrivaine et poète, et vient de publier un récit de voyage autour de Pékin, “Impressions de Pékin“, qu’elle a dédié à ses amis.

Puis je ne l’ai pas revue pendant des mois, elle est souvent sur la route, un peu comme moi, et on est pas arrivé à se croiser. Jusqu’à un vendredi soir, en face du centre commercial Italie 2, je l’ai rencontrée encore, cheveux au carré et une jupe. Nous avons parlé des peuples primitifs, de Paris, de son été malade, de la recherche d’emploi, et de ses expositions à la Bibliothèque Fessart (L’urgence du détail), dans la boutique Des Etendues, rue de la Villette, et à l’atelier Les Xérographes. Elle a exposé ses poésies de rue dans Paris, Nathalie et sa sensibilité au feu et à l’eau, parmi les feuilles mortes, observe les hommes sans-abri, les femmes âgées, sur les marges, à Belleville et sur les canals, et elle les transforme en beaux poèmes …

Elle m’a dit que sa relation avec Paris est controversée. Je tiens donc à le demander, qu’est-ce que tu n’as pas encore fait à Paris que tu aimerais bien faire ? Quels sont tes rituels sauveurs dans cette ville ? Paris parvient à te séduire de temps en temps, et quand et comment ? Crois-tu que c’est une ville spirituelle ?Tu sais que Marguerite Duras aussi, a habité à Paris ? Aimes-tu Marguerite Duras ?

Voici sa belle réponse :

Chère Claudia,

Merci pour ce petit portrait assez flatteur, il faut le dire !

Qu’est-ce que je n’ai pas fait à Paris que j’aimerais bien faire ? Je ne sais pas trop, peut-être que je recherche davantage un état- et je ne sais pas si Paris pourrait me l’offrir, celui de ne pas subir les aléas d’une vie extrêmement précaire dans une capitale si riche pourtant. Heureusement, elle ne manque pas de gens intéressants, curieux, parfois bien intentionnés, sensibles et solidaires, mais elle cloisonne socialement, ses habitants, comme toute grande ville du monde actuel. Elle n’échappe pas je pense à un phénomène global d’isolement des marginaux (dont les artistes passionnés) et précaires, pis, elle le favorise, peut-être, malgré elle.

Mes rituels sauveurs dans cette ville ?

Ce sont la considération des gens que je vois tous les jours : c’est-à-dire, le monsieur qui tient le primeur, la boulangère, quelques caissiers chez Franprix, quelques connaissances ici-et-là rencontrées fortuitement dans mon quartier. Prendre soin de mes plantes qui ont œuvré à elles-seules pour un écosystème dans mes jardinières. Tous les jours, deux abeilles viennent prélever quelques substances nutritives pour leurs ruches. J’en suis fière ! Tu me diras qu’au final, ce ne sont pas des rituels. C’est vrai.

Il y a quelques mois, mes journées étaient semblables pourtant, je me levais à la même heure (9h00), je prenais le même petit déjeuner, j’allais courir, puis je travaillais. Mais, depuis quelques temps, je fais « sur le tas ». Je m’ennuie du même petit déjeuner, du même lever. Tu sais, j’aimerais me lever aux aurores et parcourir Paris pour pouvoir apprécier à nouveau d’y habiter. Le Paris Seine-Quartier Latin-Louvre etc. et loin de mon imaginaire actuel. Paris, pour moi ce n’est pas ça, ce n’est plus ça. Quand je suis venue pour la première fois dans cette ville, j’avais à peine 19 ans, j’avais les yeux qui pétillaient à l’idée de me retrouver dans une ville légendaire, mère-nourrice de tant d’artistes que j’admirais. Mais, dès mon installation, j’ai senti une violence symbolique : Paris est une ville chère. Je vivais dans le cinquième, au sixième étage, dans un ancien grenier rénové en chambre de bonne de 9m2. Il va sans dire que je payais ça une fortune. Lorsque j’ouvrais mon clic-clac la nuit, mes pieds touchaient les murs tandis que ma tête effleurait les rideaux de la seule fenêtre de cette chambre. La voisine d’en bas, pour qui j’avais gardé ces deux enfants adorables pour la modique somme de 6€ de l’heure et non déclarée, venait me dire de faire moins de bruit car le « clic » du clic-clac la réveillait. Comment pouvais-je faire alors que si j’ouvrais le clic-clac je ne pouvais pas circuler dans mon appartement ? Dans les rues du cinquième, les gens marchent vite et à des intervalles l’un de l’autre inatteignables. C’est un quartier bourgeois, et peut-être que je ne retrouvais pas là la spontanéité du vivre dont j’avais besoin. Une ancienne amie habitait pas loin, près de la rue d’Ulm mais elle n’avait jamais le temps pour se voir, en prépa à Henri IV il fallait garder le rythme, et puis, pourquoi flâner dans Paris alors qu’il fallait réussir les concours ? Moi, en lettres modernes à l’époque, j’ai tout de même flâné. Je révisais les concours pour Sciences Po et les IEP de province à la Bibliothèque Sainte-Geneviève assise près d’étudiants en prépa devenus ingénieurs aujourd’hui, issus de milieux populaires tout comme moi, simples et solidaires. Mais comme je l’ai dit, je prenais le temps quand même de découvrir Paris. J’écoutais France Inter tous les matins, et j’étais à tous les évènements culturels qui m’intéressaient. Je voulais tout voir, tout découvrir. J’ai participé à des concours de nouvelles, j’ai été reçu au premier prix, j’ai participé à des festivals en tant que jury. C’était intéressant. Mais, je cherchais, et je cherche toujours, une convivialité dans cette ville. Le temps est une machine à broyer ici. Et, si je ne fais pas assez attention, je me retrouve le corps et l’esprit esquintés.

Moi, je rêve d’un Paris, plus vert. Je souhaiterais dans un excès d’idéal, qu’il n’y ait plus de voitures. Le vrombissement constant me rend nerveuse. Parfois je me demande si ça ne me rend pas folle. Qui peut constamment vivre dans le vacarme de sirènes, de démarrages de motos … ? Ceux qui, pour une raison ou pour une autre, n’ont pas le choix.

A Paris, je ne me sens parfois pas libre.

Or, je sais qu’elle permet l’anonymat, elle permet le dépaysement (d’un quartier à l’autre, ce sont des réalités sociales qui apparaissent ou disparaissent), mais permet-elle de se sentir plus libre ?

Peut-être que oui, dans le sens où elle peut permettre à ses habitants de réaliser leurs rêves.

Un ami poète, Reza Espili, me dit souvent « Paris, c’est le monde ». Il n’a pas tort. Et on ne réalise ses rêves qu’inscrit dans un monde, a fortiori, un monde réel.

Mais, chaque jour et à chaque seconde, il me faut combattre un « formatage de la défensive », cette méfiance dominante, où l’autre est forcément un agresseur. Mais dans ce jeu de la défensive, tout le monde devient agressif. Et ça m’essouffle, ça m’exaspère et ça finit parfois par me déprimer.

La seule chose que Paris a pour me séduire, c’est qu’elle soit « monde » comme le dit mon ami, et qu’elle m’amène à côtoyer toutes sortes de personnalités, de cultures et d’élans différents.

Il y a différents souffles à Paris, et si on prête bien l’oreille, on peut en entendre quelques-uns, plus ou moins distinctement. Si je devais m’attacher à un imaginaire pour que mes yeux scintillent quelque peu en parlant de Paris, ça serait celui de la Commune.

Un Paris spirituel ?

Si tu considères spirituelle dans le sens, de l’étymologie de 1509 « relatif à la pensée et à l’intellect », dans ce cas-ci, oui. Elle permet d’entrer en dialogue avec des penseurs de ce temps, et ça c’est important. Elle permet la stimulation à un haut degré.

Mais si tu penses au caractère religieux de la spiritualité, alors je pense que pour ma part, je ne vois pas Paris en ces termes-là. Et si je devais la voir en ces termes-là, elle ne me satisferait sûrement pas.

Je trouve que Paris n’est pas sacrée, ni même sacralisable, elle est dure à vivre au quotidien, et en ce moment, elle est malade, comme l’est le monde actuel.

Marguerite Duras a habité Paris. Peut-être ! Oui, j’adore Marguerite Duras. J’aime beaucoup ses pièces de théâtre. J’avais adapté “Le Square“ pour un court-métrage avec la collaboration de comédiens du Conservatoire de Bordeaux. Je souhaitais à la base la mettre en scène mais je partais pour Pékin dans les deux mois, et je voulais quand même la jouer. Je me suis fait des amis avec cette pièce, c’est ça qui est beau !

Voici mon passage préféré :

” – Je ne sais pas ce qui s’est passé. Dès que je suis entré dans ce jardin, je suis devenu un homme comblé par la vie.

– Monsieur, je ne sais pas comment un jardin, à le voir, peut rendre un homme heureux.

– C’est pourtant une aventure très courante que je vous raconte là, Mademoiselle, et vous en entendrez bien d’autres pareilles au cours de votre vie. J’ai, comprenez-vous, une existence ainsi faite que parler, par exemple, pour moi, est une sorte d’aubaine. Eh bien, j’ai été tout à coup aussi à l’aise dans ce jardin que s’il avait été fait pour moi autant que pour les autres. Comme si, je ne saurais vous dire mieux, j’avais grandi brusquement et que je devenais enfin à la hauteur des évènements de ma propre vie. La brise s’était donc levée, la lumière est devenue jaune de miel, et les lions eux-mêmes, qui flambaient de tous leurs poils, bâillaient du plaisir d’être là. L’air sentait à la fois le feu et les lions, et je le respirais comme l’odeur même d’une fraternité qui enfin me concernait. Tous les passants étaient attentifs les uns aux autres et se délassaient dans cette lumière de miel. J’ai été heureux brusquement.

– Mais heureux comment, comme quelqu’un qui se repose ? Comme quelqu’un qui trouve la fraîcheur après avoir eu très chaud ? Heureux comme chaque jour ils sont, les autres ?

– Plus que ça, je pense, sans doute parce que je n’en avais pas l’habitude. Une force considérable m’est montée à la tête, dont je ne savais que faire.

– Une force qui fait souffrir ?

– Peut-être oui, qui fait souffrir aussi parce que rien ne paraît en mesure de l’assouvir.

– C’est de l’espoir, je crois bien, Monsieur.

– Oui, cela est de l’espoir, je le sais. Cela est quand même l’espoir. Et de quoi ? De rien. L’espoir de l’espoir.“

Bien à toi,

Nathalie MAN.

www.nathalieman.com

Paris | marzo 13, 2018

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