Ritratto #1, Francesca / Rue des Pyrénées

Francesca è uno dei miei incontri di Parigi.

Una sera mi ha raccontato che quando era piccola scriveva lettere ai temporali e le lanciava nella tempesta, ora nelle notti burrascose si sveglia per guardare i fulmini dalla sua casa in Rue de Pyrenées e ascoltare il vento dentro al camino. La targhetta dove digitare il codice nella sua porta d’entrata ha tutti i numeri storti e mi ricorda sempre Alice e lo Stregatto, e trovo che il numero della sua casa sia simbolico : 365, come i giorni dell’anno. Qualcuno m’ha detto che Rue de Pyrenées è il quartiere di Parigi che assomiglia di più a Berlino per l’incoerenza dell’architettura, la multiculturalità e l’atmosfera. Una volta io e Francesca siamo andate all’esposizione dedicata a Lorna Simpson al Jeu de Paume, artista che lei ama molto, fermandoci a lungo sulla parete delle foto ricordo famiglia.

Francesca è un’illustratrice, per spiegarvi lo spirito del suo stile mi vengono in mente certe opere che ho visto nel volume Salon de l’Araignée, dal segno delicato, un misto retrò tra l’arte giapponese e Tomi Ungerer.

Vedevo le foto del suo blog da Parigi, e avevo voglia di venire a Parigi. Francesca partecipa a un corso di tipografia e moda, fa anche parte di un giardino collettivo bellissimo e marsigliese vicino a dove abita. Organizza spesso delle grandi feste con il suo compagno Fabrice : ed è là che una sera, prende una scatola con la sua personale collezione di “foto di famiglia”, trovate nei mercatini d’Italia, Francia e Inghilterra, e ce le mostra : storie di famiglia che lei ama immaginare, che rappresentano un passato fisico prima di noi e che, dice, è affascinante pensare che potevamo essere noi. Ne guarda i vestiti, le espressioni, le pettinature, e per lei è una grande ricchezza.

A Francesca ho chiesto il suo personale ritratto della città, che ha accompagnato con queste bellissime foto. Ecco il suo Ritratto, buona lettura ! 

Francesca Capellini : Ho iniziato a scrivere questo post in uno dei giorni più ventosi degli ultimi tempi. Tutta la costa della Bretagna è sotto un’enorme tempesta con onde alte 14 metri. Il vento arriva fin qui a Parigi e non perde la sua forza. La città sembra quasi prendere il volo.

Il quartiere in cui vivo si trova tra Belleville e Ménilmontant. Si dice che il nome Ménilmontant originariamente derivasse da “Mesnil Mautemps, dimora del cattivo tempo” (vedi vento e tempeste connesse) trasformata poi in “Mesnil Montant” proprio perché questa zona si sviluppa in salita. Charles Trenet le ha dedicato una canzone dolcissima.

Il nome Belleville probabilmente è legato al meraviglioso panorama di Parigi che si può godere da qui. Tutta la zona per secoli è stata una specie di villaggio di operai e viticoltori. Qui nacque Edith Piaf. Il carattere popolare della vecchia Parigi con i suoi artigiani e atelier si sente ancora oggi profondamente. Come quando ero piccola a Bergamo, sono tornata a vivere in collina, e mi piace moltissimo vivere qui perché sono in alto e dall’alto posso vedere tutta Parigi e poi il vento non è ostacolato né dalle altre case né dagli alberi.

E’ vero, adoro il vento: mi piace mettere la testa nel camino e ascoltare il vento che scende per la canna fumaria, non mi era mai successo di sentirlo parlare a voce così alta. La cosa incredibile è che il vento non soffia solo dal camino ma anche da tutte le finestre.

La mia casa è una vecchia casa degli anni trenta, i suoi infissi non sono mai stati cambiati, quindi le finestre non hanno doppi vetri e sopratutto le misure del legno non sono perfette. A volte quando faccio un bagno mi metto in silenzio a sentire il vento che sospira dalle finestre e allora mi sembra come di essere su una vecchia barca in mezzo al mare, portata da grandi onde potenti. E’ una casa che parla, in una città in cui la natura è relegata ai pochi grandi parchi, io mi sento felice di lasciarla parlare attraverso il camino e le finestre. I primi tempi che ho vissuto qui avevo un po’ paura.

Nelle vecchie case bisogna sempre guardarsi dagli spiriti che le possono abitare.

Ma siamo stati fortunati, l’atmosfera è bella, vivace fresca e positiva e la casa ci ha voluto bene da subito.

Vivere al numero 365 mi è sembrato un simpatico gioco del caso, magari con un significato kabbalistico, o magari segno che vivremo in questa casa solo per un anno. In ogni caso mi ha dato il senso di qualcosa di singolare e preciso e questo mi è piaciuto molto. So che il mio quartiere un tempo era molto più popolare e più povero. Sotto noi ci sono delle grandi riserve di acqua potabile. Ancora oggi tutta l’acqua che va ad abbeverare i rubinetti di Parigi passa per di qui. Mi piace passeggiare nelle stradine pedonali che salgono la collina, guardare le casette e i giardini segreti, farmi proiettare nel suo passato.

Parigi per me è così, una città piena di grandi contraddizioni che a volte mi spaventano e mi irrigidiscono, a volte mi affascinano tantissimo. Il grande lusso e l’enorme povertà, il grande sentimento di patria e le sopravvenute generazioni di nordafricani, antillani e indocinesi delle ex colonie, la perfetta educazione e la grande aggressività che puoi incontrare tutti i giorni, le masse di gente nel metrò e i piccoli caffé vuoti dove ti siedi a leggere.

E’ vero che in generale i parigini tendono a spostarsi per lavoro o per degli eventi particolari ma la maggior parte del tempo lo passano nel proprio quartiere.

Ogni quartiere ha il suo comune, hai i suoi commercianti che ti conoscono, il proprio mercato e le proprie comunità.

Quest’anno l’ho cominciato in maniera un pò diversa. Appena posso mi metto le cuffie e un buon paio di scarpe e cammino senza meta. Posso anche camminare 4 ore di seguito, cerco luoghi, guardo la gente, mi intrufolo in viuzze, faccio foto. E’ un grande godimento perché Parigi riserva delle sorprese incredibili.

Cerco di crearmi una mia dimensione a volte un pò isolata per non farmi travolgere dalla frenesia lavorativa che caratterizza Parigi. Mi piacerebbe che tutto questo vagabondare un giorno fosse raccolto in un libro di foto e disegni… potrebbe essere un buon progetto.

Inoltre ho deciso di seguire diversi corsi, ma sopratutto di specializzarmi di più nella couture e nella tintura dei tessuti attraverso colori naturali. Seguo un corso di creazione di abiti nel sud di Parigi, proprio accanto alla casa di Claudia, per pura coincidenza. E’ molto divertente perché il mio gruppo è composto da signore e ragazze di tutte le età e le origini. La mia maestra, la signora Lydie, una corpulenta antillana, è molto seria e severa. A volte mi fa ridere perché fa confusione tra le sue fotocopie di cartamodelli di gonne e camicette. Mi è sempre piaciuto fare corsi in ambienti femminili, entrare a fare parte di un “gineceo”, dove si chiacchiera e si scambiano opinioni. Forse in Italia l’ambiente sarebbe stato più caloroso e affettuoso ma chissà che con la primavera anche i cuori delle mie compagne non si scaldino un pò.

So di vivere in questa città di passaggio, so che metterò solo delle piccole radici, ma cerco di vivere questo momento nella maniera più intensa possibile : seguendo strade non banali, vivendo Parigi a modo mio, anche in silenzio, facendo foto e condividendole qui e là. Emozionandomi dei dettagli e delle storie, senza avere troppa paura di non essere all’altezza della grande città.

 

Portrait #1, Francesca / Rue des Pyrénées

Francesca est l’une de mes belles rencontres de Paris.

Elle m’a raconté que, quand elle était petite, elle écrivait des lettres à l’orage et les jetait dans la tempête; maintenant, dans les nuits orageuses, elle se réveille chez elle, rue de Pyrénées, pour regarder les foudres et écouter le vent dans la cheminée. Les chiffres sur la plaque pour taper le digicode de chez elle sont toutes renversées et ce fait me rappelle toujours d’Alice et le chat de Cheshire, et je trouve aussi que le numéro de son adresse est symbolique: 365, comme les jours de l’année. Quelqu’un m’a dit que rue des Pyrenées est le quartier de Paris qui ressemble plus à Berlin pour l’incohérence de l’architecture, le multiculturalisme et l’ambiance. Une fois, Francesca et moi, nous avons visité l’exposition consacrée à Lorna Simpson au Jeu de Paume, une artiste qu’elle aime beaucoup, et nous nous sommes arrêtées longuement à observer une installation avec des photographies de famille.

Francesca est une illustratrice, l’esprit de son style me rappelle de certaines œuvres que j’ai vu en feuilletant le Salon de l’Araignée : un mélange rétro entre l’art japonais et une synthèse à la Tomi Ungerer.

Je regardais les photographies de son blog de Paris, et ça me donnait envie de partir. Francesca participe à un cours de typographie et un cours de couture, et elle fait partie d’un jardin collectif et marseillais près d’où elle vit. Elle organise souvent des fêtes avec son copain Fabrice : et c’est là qu’un soir, elle prend une boîte avec sa collection personnelle de “photos de famille”, qu’elle a déniché dans les marchés aux puces en Italie, en France et en Angleterre, et nous la montre: elle aime imaginer les histoires de familles qu’y sont représentées, elle y voit un passé concret qu’aurait pu nous appartenir. Elle en regarde les vêtements, les expressions, les coiffures, et ça lui plait énormément.

J’ai demandé à Francesca un portrait en mots et photos de Paris. Le-voici à la suite, bonne lecture !

 

Francesca Capellini : J’ai commencé à écrire cet article dans l’un des plus venteux jours de derniers temps. La Grande-Bretagne est frappée par une énorme tempête avec des vagues de 14 mètres. Le vent arrive à Paris et ne perd pas sa force. La ville semble presque prendre son envol. Le quartier où j’habite est situé entre Belleville et Ménilmontant. On dit que le nom Ménilmontant vient de “Mesnil Mautemps”, la maison du mauvais temps, qui a ensuite été transformé en “Mesnil Montant” à cause de ses montées. Charles Trenet lui a dédié une chanson très douce.

Le nom Belleville est probablement liée à la vue magnifique de Paris dont vous pouvez profiter d’ici. Pendant des siècles, toute la région fut une sorte de village d’ouvriers et viticulteurs. Edith Piaf est née ici. Le caractère populaire du vieux Paris avec ses artisans et ses ateliers se perçoit toujours profondément. Comme quand j’étais petite à Bergame, je suis retourné à vivre dans les collines, et j’adore vivre ici parce que je suis au sommet et je peux voir tout Paris du haut, puis le vent n’est pas entravé ni par les immeubles ni par les arbres.

C’est vrai, j’aime le vent: j’aime mettre ma tête dans la cheminée et écouter le vent qui descend, il ne m’était jamais arrivé de l’entendre parler si fort. La chose étonnante est que le vent ne souffle pas seulement à travers la cheminée mais aussi à travers toutes les fenêtres. La mienne est une vieille maison des années trente, ses châssis n’ont jamais été modifiés, donc les fenêtres ne sont pas à double vitrage et les finitions en bois ne sont pas parfaites. Parfois, quand je prends un bain, je reste en silence pour entendre les soupirs du vent à travers les fenêtres et il me semble d’être sur un vieux bateau au milieu de la mer, et je me laisse emporter par de grandes vagues puissantes. C’est une maison qui parle ; dans une ville où la nature est relégué à quelques grands parcs, je suis heureuse de l’entendre parler. Quand j’ai déménagé ici, j’ai eu un peu peur : dans les vieilles maisons il faut toujours éviter les esprits qui la peuvent habiter.

Mais nous avons eu la chance, l’ambiance est agréable, vivant et positive et la maison nous a aimé tout de suite. Vivre au numéro 365, il me semble un hasard sympa, peut-être avec un sens kabbalistique, ou peut-être un signe que nous allons vivre dans cette maison pour un an seulement. En tout cas, il m’a donné un sentiment de quelque chose d’unique et précis, et je l’ai aimé. Je sais que mon quartier était autrefois très populaire et très pauvre. Ci-dessous nous, il y a de grandes réserves d’eau potable. Même aujourd’hui, l’eau qui va abreuver les robinets de Paris passe par ici. J’aime marcher dans les rues piétonnes qui grimpent la colline, regarder les maisons et les jardins secrets, me projeter dans son passé.

Pour moi, Paris c’est comme ça : une ville aux grandes contradictions qui parfois me font peur et me raidissent et parfois me fascinent. Le grand luxe et la pauvreté extrême, le patriotisme et les générations survenues des ex-colonies de l’Afrique du Nord, des Antilles et de l’Indochine, l’éducation parfaite et l’agressivité qu’on peut rencontrer tous les jours, les masses de gens dans le métro et les petits cafés vides où on peut s’asseoir à lire. Il est vrai qu’en général, les Parisiens ont tendance à se déplacer pour le travail ou d’événements particuliers, mais la plupart du temps ils restent dans leur quartier. Chaque quartier a sa propre mairie, les marchands qu’on finit par connaitre bientôt, son marché et sa communauté.

Cette année, je l’ai démarré un peu différemment. Dès que je peux, je mets mes écouteurs et une bonne paire de chaussures et je vais marcher sans un but précis. Je peux marcher quatre heures d’affilée, je cherche des lieux, je regarde les gens, je me faufile dans les rues, je prends des photos. C’est un grand plaisir parce que Paris réserve de surprises incroyables. Je cherche de m’isoler un peu pour ne pas être submergée par la frénésie. Je souhaite, un jour, de pouvoir recueillir cette errance dans un livre de photographies et de dessins… ça pourrait être un bon projet.

J’ai décidé de suivre plusieurs cours, mais surtout de me spécialiser dans la couture et la teinture naturelle des tissus. Je suis un cours de création de vêtements dans le sud de Paris, juste à côté de chez Claudia, par pure coïncidence. C’est très drôle parce que mon groupe est composé de femmes et de filles de tous âges et origines. Ma professeur, Mme Lydie, une antillaise corpulente, est très grave et sévère. Parfois, elle me fait rire parce qu’elle fait confusion entre ses photocopies de modèles de jupes et chemisiers. J’ai toujours aimé suivre des cours dans les cercles de femmes, de faire partie d’un “gynécée”, où on peut bavarder et échanger des opinions. Peut-être en Italie l’ambiance aurait été plus chaleureuse et affectueuse, mais j’espère qu’en printemps, le cœur de mes compagnons se réchauffera davantage.

Je sais que je suis en transition dans cette ville, que je vais mettre que de petites racines, mais j’essaie de vivre ce moment de la façon plus intense possible: en suivant les chemins les plus originels, en vivant Paris à ma façon, en silence, en prenant des photos et en les partageant de temps en temps. En m’émouvant des détails et des histoires, sans crainte de ne pas être à hauteur de cette grande ville.

Paris | marzo 13, 2018

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